Il Giappone resta lontano dall’autosufficienza alimentare: secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca (MAFF), nel 2024/25 il tasso di autosufficienza si è attestato al 38%, invariato rispetto all’anno precedente e ben al di sotto dell’obiettivo governativo del 45% entro il 2030. Il dato, tra i più bassi tra i Paesi sviluppati, conferma la vulnerabilità del Paese sul fronte della sicurezza alimentare in un contesto globale segnato da tensioni geopolitiche e instabilità climatica.
L’incremento della produzione di barbabietola e canna da zucchero, che ha sostenuto l’output di zucchero, non è bastato a compensare il calo dei raccolti di grano, soia, ortaggi e prodotti ittici, penalizzati dalle alte temperature e dalle condizioni meteorologiche sfavorevoli.
Negli ultimi dieci anni, la quota di autosufficienza giapponese è rimasta ferma tra il 37% e il 39%, nonostante le politiche per ridurre la dipendenza da importazioni di cereali e semi oleosi.
Per raggiungere il target del 2030, il governo punta su tecnologie avanzate per migliorare la produttività del lavoro e del suolo, con particolare attenzione ai cereali e alle verdure. In confronto, Paesi esportatori come Australia, Canada, Francia e Stati Uniti superano il 100% di autosufficienza, mentre Germania, Regno Unito e Italia si attestano rispettivamente al 79%, 59% e 52%.
Su base di valore della produzione, il tasso giapponese è salito al 64%, massimo degli ultimi quattro anni, grazie ai prezzi più alti di riso, verdure e carne. Tuttavia, il settore agricolo resta sotto pressione a causa dell’invecchiamento della popolazione rurale, della carenza di manodopera e della riduzione delle superfici coltivate, mentre le preferenze dei consumatori si spostano sempre più da riso a carne e alimenti grassi di ispirazione occidentale.