Non si arresta la tensione commerciale tra Washington e Roma. Dopo vino, formaggi e olio, ora nel mirino degli Stati Uniti finisce la pasta italiana. Il Dipartimento del Commercio americano ha annunciato un nuovo dazio antidumping del 91,74% sulle importazioni dal nostro Paese, che si sommerebbe al 15% già in vigore, portando la tassazione complessiva al 107%. Il provvedimento, che potrebbe entrare in vigore da gennaio 2026, è il risultato di una revisione periodica richiesta da produttori statunitensi concorrenti.
L’indagine ha coinvolto 18 imprese italiane, ma l’attenzione si è concentrata su La Molisana e Garofalo, accusate di non aver fornito documentazione sufficiente. A queste due aziende è stato applicato un margine di dumping del 91,74%, poi esteso in via provvisoria anche a tutti gli altri pastifici, compresi marchi noti come Barilla, Rummo e Sgambaro.
Immediate le reazioni politiche e diplomatiche. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, in visita negli USA, ha parlato di “misura protezionista ingiustificata”, assicurando l’impegno del governo italiano per evitarne l’entrata in vigore. L’ambasciata italiana a Washington e il Ministero degli Esteri hanno avviato contatti diretti con il Dipartimento del Commercio.
Dal mondo produttivo è arrivata una condanna unanime. Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, ha definito la decisione “arbitraria e priva di basi oggettive”. Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, parla di “colpo mortale per il Made in Italy”, ricordando che l’export di pasta verso gli Stati Uniti vale 671 milioni di euro l’anno.
Per Cristiano Laurenza, segretario di Pastai di Unione Italiana Food, “si tratta di un attacco politico al simbolo della nostra identità gastronomica. Serve una risposta forte e coordinata delle istituzioni italiane ed europee”.