L’insicurezza alimentare, definita dalla FAO come la condizione di chi non può accedere regolarmente a un’alimentazione sana e adeguata, continua a rappresentare una criticità anche nei Paesi ad alto reddito. Non si tratta solo di mancanza di cibo, ma anche di qualità nutrizionale, equilibrio della dieta e possibilità di scegliere secondo le proprie preferenze.
L’ultima rilevazione Istat, condotta nel 2024 su reddito e condizioni di vita, mostra che il 5,5% degli italiani ha sperimentato almeno uno degli otto segnali di insicurezza alimentare individuati dalla scala FIES (Food Insecurity Experience Scale). Il sintomo più diffuso è la necessità di limitarsi a pochi tipi di alimenti (4,3%), seguito dalla preoccupazione di restare senza cibo (2,5%) e dall’impossibilità di consumare pasti salutari (2,5%). Le forme più gravi – come aver saltato completamente i pasti – restano inferiori all’1%.
Nel complesso, l’1,3% della popolazione italiana vive una condizione di insicurezza alimentare moderata o grave, ma il dato varia sensibilmente sul territorio: 2,7% nel Mezzogiorno, 0,8% al Centro e 0,6% al Nord. Si tratta comunque di un miglioramento rispetto al 2022 (2,2%), segno di un lieve recupero dopo la crisi inflazionistica. Più esposte restano le persone straniere (1,8%) e chi soffre di limitazioni fisiche (2,4%).
A livello europeo, nel 2024 l’8,5% dei cittadini non può permettersi un pasto proteico ogni due giorni, in calo rispetto al 9,5% del 2023. In controtendenza l’Italia, dove la quota è salita al 9,9%, contro l’8,4% dell’anno precedente.
I dati collocano il nostro Paese al 19° posto in Europa, con valori peggiori di Francia (10,2%) e Germania (11,2%) ma ben superiori a quelli di Spagna (6,1%), Irlanda (1,8%) e Portogallo (2,5%). Un segnale che invita a non abbassare la guardia su povertà alimentare e diritto a un’alimentazione equilibrata.