Le immagini di Bruxelles assediata dai trattori e dagli agricoltori in rivolta contro l’accordo UE–Mercosur hanno riportato alla memoria una stagione di grandi conflitti sociali che sembrava archiviata. L’Unione Europea, divisa al suo interno, appare ancora una volta bloccata tra interessi nazionali, pressioni corporative e una decisione strategica che riguarda il futuro del suo posizionamento globale.
Francia in testa, con Emmanuel Macron apertamente contrario, alcuni Paesi dell’Est cauti o ostili, Germania favorevole e Italia in posizione attendista: il dossier Mercosur è diventato il simbolo di una UE che fatica a scegliere se essere un progetto politico ed economico di lungo periodo o una somma di compromessi difensivi.
Gli agricoltori e le loro associazioni rappresentano oggi una delle poche categorie realmente organizzate, compatte e capaci di mobilitazione di massa. In questo senso sono forse l’ultimo baluardo di un Novecento segnato da grandi battaglie di piazza, sindacali e corporative.
Ma la politica è un’altra cosa. Non è (o non dovrebbe essere) la gestione della paura o della pancia del consenso immediato. È visione, capacità di leggere il futuro, di anticipare gli scenari economici e industriali. E più una politica segue esclusivamente l’emotività del presente, più rinuncia al suo ruolo strategico.
La difesa dell’agricoltura francese, del resto, non è una novità: la Francia ha storicamente protetto ogni settore considerato identitario o strategico. Non è un caso se oggi il Paese vive una profonda tensione sociale, figlia anche di un modello che fatica ad adattarsi ai cambiamenti globali. Diverso è il caso di alcuni Stati membri che vivono ancora in misura rilevante di agricoltura e che possono avanzare obiezioni legittime. Ma il punto centrale resta un altro.
La domanda di fondo è semplice quanto decisiva: l’Unione Europea vuole ragionare come spazio economico e politico unitario oppure restare un insieme di compromessi nazionali indipendentemente dai benefici complessivi?
L’accordo con il Mercosur non è un dettaglio tecnico. È un’opportunità strategica che apre l’accesso a un mercato di oltre 700 milioni di consumatori, in Paesi che, in parte, presentano dimensioni, stabilità e prospettive di crescita significative. Il solo Brasile rappresenta un gigante economico e commerciale, con un mass market retail che vale circa 200 miliardi di dollari, un sistema distributivo in forte evoluzione e una crescente apertura a prodotti e modelli europei.
Rinunciare a questo spazio significa autoescludersi da una delle aree più dinamiche del commercio globale dei prossimi decenni.
La concorrenza non è un’anomalia del sistema economico: è la sua condizione naturale. È la base stessa dell’innovazione, dell’efficienza e dell’evoluzione dei modelli produttivi. La storia recente lo dimostra chiaramente: i sistemi che hanno scelto di chiudersi, di isolarsi dal mercato globale, di proteggersi indefinitamente, hanno finito per implodere. Il riferimento al blocco comunista – ad esempio – non è ideologico, ma economico: la chiusura al confronto esterno ha sempre un costo strutturale.
Chi oggi teme il Mercosur non teme realmente il Mercosur, teme la propria fragilità. E se non sarà l’accordo con il Sud America a far emergere queste debolezze, lo farà un altro fattore competitivo poco dopo: un altro Paese, un’altra area, un’altra filiera.
Nel frattempo, però, l’Europa rischia di perdere un’occasione storica, restando fuori da un mercato enorme e in crescita.
Il vero tema, concludendo, non è se tutelare o meno l’agricoltura europea, ma come farlo senza rinunciare alla crescita e alla competitività globale. Difendere tutto indistintamente significa, spesso, non difendere nulla nel medio e lungo periodo.
L’accordo UE–Mercosur pone l’Europa davanti a una scelta di sistema: continuare a proteggere il presente, anche quando è fragile, oppure governare il cambiamento, accompagnando i settori più esposti verso un’evoluzione necessaria. La politica europea è chiamata a decidere se vuole essere protagonista del futuro o spettatrice di un mondo che cambia comunque, anche senza di lei.



















