Si è chiusa con 5,8 milioni di tonnellate di prodotto trasformato la campagna 2025 del pomodoro da industria in Italia, in leggero aumento rispetto al 2024 ma circa il 10% in meno rispetto alle previsioni iniziali. Con questi numeri, il nostro Paese torna al secondo posto mondiale dopo gli Stati Uniti, superando la Cina, che ha ridotto drasticamente le proprie produzioni. A fronte di 78.695 ettari coltivati, il comparto ha vissuto una stagione “lunga e complessa”, segnata da forti squilibri territoriali. Nel bacino Nord sono state trasformate 3,12 milioni di tonnellate (+27,6% sul 2024), mentre nel Centro Sud il dato si ferma a 2,71 milioni (-5,3%).
Sul fronte economico, il settore ha registrato incrementi dei prezzi fino al 40%, in particolare nel Foggiano, a causa di carenze idriche e tensioni nei contratti di fornitura. Il pomodoro italiano resta così il più caro al mondo, con riflessi sui margini delle aziende di trasformazione. “È stata una campagna lunga e difficile, con un allungamento dei tempi di lavorazione e impianti che non hanno mai operato a pieno regime” ha spiegato Marco Serafini, presidente di ANICAV. “Serve un riequilibrio del valore lungo la filiera e investimenti in innovazione per migliorare rese, ridurre costi e ottimizzare i consumi idrici ed energetici”. Le rese agricole, soprattutto per il pomodoro pelato intero, sono scese ai livelli più bassi degli ultimi cinque anni, con una riduzione produttiva superiore al 20%.
Per Giovanni De Angelis, direttore generale di ANICAV, “il comparto è messo a dura prova dalle politiche daziarie e dalle difficoltà dei mercati di sbocco. È prioritario rilanciare il dialogo tra parte agricola e industriale: l’interprofessione può funzionare solo se regolata da una chiara cornice istituzionale, che chiediamo al Masaf di definire al più presto”.