Cucina italiana diventa patrimonio Unesco, un’opportunità strategica per la filiera agroalimentare

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La parola “Adopted” pronunciata a Nuova Delhi, ha sancito l’ingresso della cucina italiana tra i patrimoni culturali immateriali dell’umanità. Si tratta di un riconoscimento culturale di grande rilevanza, ma soprattutto di un nuovo asset competitivo per un settore che vale oltre 65 miliardi di export e rappresenta una delle colonne portanti dell’economia nazionale. La presenza del Ministro degli Esteri Antonio Tajani alla cerimonia conferma l’importanza geopolitica e commerciale del cibo italiano come leva diplomatica e industriale.

Il risultato è il punto di arrivo di un percorso avviato nel 2023, quando la candidatura “Cucina italiana: sostenibilità e diversità bioculturale” fu presentata dai ministeri della Cultura e dell’Agricoltura. Già il via libera tecnico del novembre 2025 aveva evidenziato come l’Unesco riconoscesse non solo la ricchezza delle ricette italiane, ma la struttura socio-economica che la sostiene: biodiversità agricola, saperi tradizionali, filiere corte, stagionalità e un modello di trasmissione culturale radicato nei territori.

Per il sistema agroalimentare italiano, l’impatto potenziale è significativo. Il riconoscimento può rafforzare il posizionamento dell’Italia nei segmenti premium e super-premium, dove la dimensione culturale è un fattore decisivo nelle negoziazioni commerciali con buyer internazionali. La certificazione Unesco diventa un argomento strategico nelle politiche di branding e nei piani export, soprattutto verso i mercati extra-UE più sensibili al concetto di “heritage food”.

La visibilità globale potrebbe inoltre aumentare l’attrattività del turismo enogastronomico, generando ricadute positive lungo l’intera catena del valore: distretti agricoli, cantine, caseifici, pastifici artigianali, ristorazione e ospitalità. L’effetto volano sarebbe particolarmente rilevante per le PMI, che basano la competitività sul rapporto diretto con il territorio e sulla capacità di raccontare origine, tradizione e qualità.

Il dossier Unesco richiama elementi di sostenibilità e salvaguardia della biodiversità che, se opportunamente valorizzati, possono tradursi in incentivi a investire in agricoltura rigenerativa, tecniche produttive a basso impatto e processi di tracciabilità avanzata. La tutela del “saper fare” offre inoltre uno strumento ulteriore contro l’Italian sounding, rafforzando la distintività dei prodotti certificati DOP e IGP e creando barriere competitive verso le imitazioni.

Ad oggi l’Italia conta 20 elementi iscritti nella Lista del Patrimonio Immateriale, confermandosi uno dei Paesi più ricchi di tradizioni riconosciute a livello globale. L’Unesco ha sottolineato il carattere inclusivo della cucina italiana, la sua capacità di attraversare generazioni e culture diverse e la sua aderenza ai principi di riduzione dello spreco e uso responsabile delle risorse naturali.

Per la filiera agroalimentare italiana questo riconoscimento non è semplicemente celebrativo: è un’occasione per riposizionarsi, investire, innovare e consolidare la leadership internazionale del Made in Italy alimentare. Un’opportunità che, se colta in modo sistemico, può tradursi in maggiore valore aggiunto, nuovi mercati, occupazione qualificata e crescita sostenibile per i prossimi anni.

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