Carne coltivata in laboratorio: risposta concreta ai problemi ambientali e culturali o utopia?

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Carne coltivata in laboratorio

È di pochi giorni fa la notizia del lancio, da parte di un team di ricerca dell’Università di Torino, della campagna di crowdfunding “CultMeat”, per ridurre drasticamente l’impatto ambientale e rispondere alle sfide etiche legate all’allevamento intensivo.

Il progetto si concentra sull’ottimizzazione dei processi per isolare e coltivare cellule staminali suine, trasformandole in tessuti muscolari attraverso un sistema controllato. Questo approccio mira a ridurre i costi di produzione e a facilitare la scalabilità industriale ma non solo.

CultMeat intende dimostrare, infatti, che la carne coltivata può essere una risposta ai problemi ambientali legati all’allevamento intensivo, come l’uso eccessivo di risorse naturali e le emissioni di gas serra poiché richiede meno terra e acqua rispetto alla carne tradizionale, rappresentando quindi un’opzione più ecologica.

Attraverso il crowdfunding, CultMeat cerca di raccogliere fondi per acquistare attrezzature avanzate necessarie per la ricerca e lo sviluppo del primo prototipo di carne coltivata. L’iniziativa mira anche a coinvolgere il pubblico, rendendolo parte attiva nella creazione di un futuro alimentare più sostenibile.

Nonostante il potenziale innovativo, il progetto deve affrontare diverse sfide, in primi economiche: la produzione iniziale della carne coltivata è costosa, con stime che indicano spese significative per l’isolamento delle cellule e la creazione dei bioreattori necessari per la coltivazione.  Altro aspetto non di poco conto è che in Italia, tanto per cambiare, ci sono attualmente restrizioni sulla produzione e commercializzazione della carne coltivata, il che potrebbe limitare le opportunità di sviluppo del progetto.

Tuttavia, se l’Unione Europea dovesse approvare tali prodotti, potrebbero aprirsi nuove strade per la loro introduzione nel mercato italiano. Come riporta un articolo pubblicato ieri sul Sole24 ore il mercato della carne coltivata nel Vecchio Continente potrebbe valere da 15 a 85 miliardi di euro entro il 2050 – fra consumo interno ed esportazioni – e generare da 25mila a 90mila posti di lavoro. Questo se l’Ue scegliesse di credere e di investire nel suo potenziale, per assumere fin da ora un ruolo di leadership nel settore.

All’interno di questo scenario anche l’agricoltura tradizionale avrebbe opportunità: la carne coltivata sosterràinfatti la diffusione delle proteine vegetali – che dipenderanno dall’aumento di alcune colture – e di sottoprodotti agricoli e animali (come cellule per lo sviluppo di nuove linee cellulari). Infine, una possibilità a lungo termine: produrre carne coltivata su piccola scala, nelle aziende.

Al momento non è facile fare previsioni sugli sviluppi futuri; le stime fornite dalla società di consulenza AT Kearney prevedono che tra venti anni la carne coltivata rappresenterà il 35% del mercato della carne, mentre quella convenzionale solo il 40%, e Uma Valeti, fondatore e CEO dell’azienda Upside Foods, ha dichiarato al Wall Street Journal che tra venti anni la maggior parte della carne venduta nei negozi sarà coltivata, o comunque in forma ibrida. Anche se ci sono start up che dopo l’entusiasmo iniziale sono state costrette a chiudere. Il cammino quindi non si presenta semplice per la carne coltivata in laboratorio ma sarà indubbiamente molto interessante da seguire.

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