Emilia-Romagna motore del largo consumo: +54% di export in 5 anni, ma pesa il calo delle microimprese

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In un contesto globale segnato dal rallentamento del PIL e dalle tensioni commerciali internazionali, le famiglie italiane mostrano una lieve crescita nella spesa per consumi. Tuttavia, l’incertezza economica spinge sempre più verso gli acquisti nei discount, penalizzando le vendite al dettaglio tradizionali. Secondo un’indagine Nomisma per IBC, i consumatori italiani orientano le loro scelte su criteri salutistici, territoriali e di sostenibilità, che diventeranno i principali driver d’acquisto nei prossimi anni.

Durante l’evento IBC “Industria dei beni di consumo ed evoluzione del contesto competitivo”, Denis Pantini di Nomisma ha sottolineato come l’”inverno demografico” e le politiche protezioniste renderanno sempre più strategico l’export. La digitalizzazione, sebbene ancora frenata da carenze di competenze nelle PMI del food & beverage, rappresenta un’opportunità fondamentale per adattarsi a un mercato interno saturo.

Il focus sull’Emilia-Romagna mostra una filiera del largo consumo robusta: 47 miliardi di euro di fatturato su 250 miliardi nazionali, con oltre 4.700 imprese attive e 67 mila addetti. Negli ultimi cinque anni, fatturato e valore aggiunto sono aumentati del 35%, ma con forti disparità: le piccole imprese hanno perso oltre il 10% di fatturato, mentre le medio-grandi hanno trainato la crescita grazie all’export.

Quest’ultimo è cresciuto del 54% in cinque anni. L’Unione Europea assorbe il 57% dell’export regionale, ma gli Stati Uniti restano un mercato chiave, incidendo fino al 30% per prodotti Dop come Prosciutto di Parma e Aceto Balsamico di Modena. “Serve un piano industriale condiviso che supporti innovazione e internazionalizzazione”, ha ribadito Pantini.

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