Secondo un nuovo rapporto del British Retail Consortium, dal 2015 il settore retail nel Regno Unito ha perso oltre 350.000 posti di lavoro, un calo dieci volte superiore al numero complessivo degli occupati nell’industria siderurgica nazionale. A differenza di quest’ultima – oggetto di numerosi interventi governativi per evitarne la crisi – il commercio al dettaglio è stato lasciato senza sostegni concreti, nonostante il suo impatto economico e occupazionale diffuso su tutto il territorio.
Le imprese del retail si trovano oggi a fronteggiare un fardello crescente fatto di tasse, burocrazia e costi del lavoro in aumento. L’incremento del National Living Wage e dei contributi previdenziali ha generato nel 2025/26 una spesa aggiuntiva di 5 miliardi di sterline per il settore. Solo nei casi di lavoratori di primo livello, il costo annuo per un dipendente full-time è salito del 10,3%, mentre per i part-time l’aumento tocca il 13,5%.
“Il retail è il più grande datore di lavoro privato del Regno Unito e offre oltre 1,5 milioni di posti part-time, flessibili e locali – fondamentali per studenti, genitori o chi rientra nel mercato del lavoro”, ha dichiarato Helen Dickinson, CEO del BRC. “Ma 160.000 di questi posti sono oggi a rischio entro i prossimi tre anni”.
Il nuovo Employment Rights Bill, se mal calibrato, potrebbe peggiorare la situazione: il 61% dei direttori HR intervistati teme una riduzione della flessibilità e oltre il 50% prevede un taglio al personale. Il consorzio chiede al governo di agire in modo equilibrato e favorire investimenti nella formazione attraverso il nuovo Growth and Skills Levy, anziché penalizzare ulteriormente un settore strategico per l’economia britannica.