Le nuove uova non vengono dal pollaio: perché crescono le alternative plant-based

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Negli Stati Uniti, l’aumento vertiginoso dei prezzi delle uova e la diffusione dell’influenza aviaria stanno modificando profondamente il mercato alimentare. Una delle conseguenze più sorprendenti è la crescita esponenziale delle vendite di uova vegetali, un tempo considerate solo una curiosità per pochi consumatori attenti a diete vegane o alternative. Oggi, complici la scarsità del prodotto tradizionale e i costi ormai proibitivi, le versioni plant-based stanno guadagnando spazio sugli scaffali e nelle cucine. Secondo il Bureau of Labor Statistics, una dozzina di uova negli USA costa in media oltre 6 dollari, tra i valori più alti degli ultimi dieci anni, al punto che il governo ha dovuto chiedere supporto a Paesi terzi, tra cui l’Italia.

In questo scenario, aziende come Eat Just – startup californiana specializzata in uova vegetali – hanno colto l’attimo. Il ceo Josh Tetrick ha dichiarato che le vendite sono quintuplicate nel giro di un anno. Il prodotto di punta dell’azienda è un liquido confezionato, a base di fagiolo mungo verde, che si può usare per cucinare omelette e altre preparazioni tipiche delle uova. Altre aziende stanno sperimentando alternative con ingredienti diversi, come fave, ceci o soia, oppure si concentrano su tecnologie avanzate come la fermentazione di precisione, in grado di ricreare componenti proteici come l’ovoalbumina.

Il mercato delle uova vegetali, però, è ancora in una fase iniziale. Rispetto a quello delle carni o dei latticini vegetali, la penetrazione nei supermercati resta bassa e la maggior parte delle vendite avviene nella ristorazione o nel food service. Tuttavia, l’impatto dell’influenza aviaria ha cambiato le carte in tavola: in alcuni negozi, le uova plant-based sono diventate le uniche disponibili. La crescita del settore è sostenuta anche da nuovi investimenti, come quello del gruppo Vegan Food, che ha stanziato oltre 11 milioni di sterline per aumentare la produzione. Eat Just aveva siglato un accordo anche con l’italiana Eurovo, oggi però non più attivo.

A livello globale, il comparto delle proteine alternative ha vissuto un’espansione tra il 2019 e il 2021, salvo poi rallentare a causa dell’inflazione. Ora, l’emergenza uova ha riacceso l’interesse: secondo il Good Food Institute, le uova vegetali hanno generato tra i 40 e i 50 milioni di dollari di vendite nel 2023, con prospettive di raddoppio entro fine anno. Prima dell’epidemia, solo il 16% dei consumatori statunitensi aveva provato uova vegane. I motivi principali della scarsa adozione erano due: la difficoltà tecnica di replicare un alimento così versatile e il prezzo, che nel 2023 era fino a quattro volte superiore a quello delle uova tradizionali. Oggi, però, il divario si è drasticamente ridotto.

Intanto, anche in Europa si moltiplicano le sperimentazioni. Dalla tedesca Plant B alla spagnola Awewo, passando per la britannica Oggs, la francese Papondu e l’italiana Valsoia, sono già una trentina le aziende impegnate nello sviluppo di versioni vegetali del prodotto. Alcune startup, come Crafty Counter, hanno persino lanciato le prime uova sode vegane pronte al consumo. Tuttavia, l’espansione non è garantita. Un sondaggio di Clarity Capital mostra come oltre il 60% degli americani abbia ridotto il consumo di uova, ma solo il 10% abbia scelto i sostituti vegetali. Il futuro delle uova potrebbe essere plant-based, ma per ora si tratta di un cambiamento ancora in fase di incubazione.

Uova vegetali, le nuove uova non vengono dal pollaio

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