L’Europa, il primo produttore di latte bovino a livello globale e il primo esportatore dei trasformati del latte, con uno share di oltre il 25%, sta vivendo una situazione di difficoltà ormai da diversi anni. Le dinamiche di prezzo sulle materie prime seguono quelle delle commodities globali, ma all’interno del continente le regole per le emissioni che diminuiscono i capi di negli allevamenti, vanno a scontrarsi con l’aumento dei costi che rendono la produzione sempre più limitata.
“Il focus più importante, secondo noi, riguarda i livelli di offerta di latte in Unione Europea – afferma Filippo Roda, analista di Areté – soprattutto negli ultimi 4/5 anni il trend di crescita è rallentato molto. Nel periodo 2021/22 c’è stato un importante calo produttivo”.
Parliamo di un rallentamento che è legato in particolar modo alle politiche di riduzione delle emissioni da parte dell’UE, per cui ha approvato un regolamento che diminuisce il numero di capi negli allevamenti che coesiste però con la saturazione nell’innovazione tecnologica e porta ad un aumento delle rese. A questo si aggiungono poi anche degli shock esogeni, legati ai rincari dei costi di produzione e dell’energia – di primaria importanza negli allevamenti – dovuti a guerre e cambiamenti climatici, dei costi e dei mangimi.
“Nell’ottica futura sul 2024/25 c’è spazio per assistere ad un recupero produttivo, ma i tassi della produzione di latte restano ostacolati da questa dinamica strutturale – prosegue Roda – il che significa che c’è sempre meno latte disponibile per le trasformazioni”. La crescita del latte fatica a tenere il passo con la domanda, che resta rigida sia all’interno che all’esterno e non riesce a soddisfare i numeri della produzione di trasformati come formaggi, burro e soprattutto polvere di latte “tant’è che negli ultimi anni questi mercati sono andati in contro a soluzioni deficitarie importanti, gli stock sono andati a contrarsi, come per tantissime altre materie prime che negli ultimi anni che hanno raggiunto dei massimi storici senza precedenti”.
La polvere di latte, la referenza che ha visto la minor reperibilità, nel 2024 secondo le stime di Areté, avrà un 70% in meno di stock rispetto al periodo di media 2010/2020. “Se gli stock sono bassi, i mercati sono più esposti agli andamenti della domanda – continua Roda – una domanda rigida, stock bassi e calo dell’offerta provoca un inevitabile aumento di prezzi”. Questo è il motivo per cui quasi tutte le referenze del mondo nel latte europeo hanno raggiunto record senza precedenti.
Anche se la domanda continua ad avere una certa rigidità, superati certi livelli di prezzo si prevede una flessione. “E’ quello che è successo nel 2023, e nel 2022 questi ragionamenti hanno portato a livelli di prezzo record, dopodiché tra la seconda metà del 22 e del 23 i prezzi sono tornati in deflazione, non perché sia migliorata l’offerta ma perché si è contratta la domanda”.
Si prendano ad esempio, su questa dinamica, soprattutto quelle referenze che l’UE esporta verso paesi che hanno subito particolarmente le crisi economiche legate alla guerra e che hanno avuto quindi minor potere di acquisto. Parliamo in particolare dei paesi africani e asiatici che sono grandi importatori di polvere di latte.
Anche il consumo interno ha risentito però della situazione economica europea. “L’inflazione, infatti, più le politiche monetarie restrittive con le banche centrali che sono sempre più timide nell’iniziare un eventuale orientamento monetario, hanno ridotto i poteri di acquisto dei consumatori”. La situazione vede un momento in cui la tensione della domanda ha leggermente alleggerito l’offerta, dunque: i prezzi nella seconda metà del 22 sono leggermente rientrati. “Il che non significa che il mercato abbia trovato un equilibrio: tant’è che se è vero che rispetto ai record abbiamo avuto dei cali di prezzo intorno al 20/25% e anche 40% come per la polvere di latte intero e scremato, se confrontassimo i prezzi medi di aprile 2024 rispetto al 2019, restano su livelli sostenuti”. La referenza che preoccupa maggiormente è il burro che viaggia attorno a quota 40% in più rispetto al 2019, -18% rispetto al 2022. La situazione resta quindi ancora delicata dal momento che il mercato soffre di un’offerta non adeguata: gli input produttivi sono ancora legati a dinamiche di costi come quelli dell’energia, che restano elevati. I prezzi del latte si mantengono ancora attorno al +15/20% in più rispetto ai livelli precrisi (2019).
Prospettive future
Nell’intenzione di prevedere l’andamento del mercato nel medio termine, quindi fine 2024 e anche 2025 inoltrato “è difficile pensare che ci possano essere delle condizioni per una normalizzazione dei mercati. Molti degli elementi di supporto che hanno caratterizzato il mercato nel 2021/22 stanno venendo meno e restiamo sostenuti rispetto al precrisi anche se i costi dell’energia elettrica o gas naturale che nel 2021/22 avevano superato i 200 euro a megavat ora sono sui 30 euro. I cereali stanno risentendo di un maggior livello di offerta internazionale quindi, le basi per la produzione dei mangimi costano sicuramente meno. È però difficile pensare che nel breve termine ci possa essere un grande stimolo della domanda, soprattutto quella extra”, precisa Roda.
Anche se i prezzi restano superiori ai livelli pre-crisi, è possibile notare l’assenza di quelle bolle speculative che abbiamo vissuto nel 2022. La materia prima più calda da monitorare resta il burro perché la maggior parte del latte è convogliata verso i formaggi, la cui domanda si mantiene stabile. Per il burro invece “c’è meno sostanza grassa per la sua produzione in un mercato che ne chiede molto – conclude Roda – le aziende hanno avuto un posizionamento corto sull’acquisto di burro e la quantità di grasso nel latte risente ancora dei bassi investimenti sui mangimi degli scorsi anni, quindi da qui a tutta l’estate si percepisce un po’ di tensione”.