Il mercato mondiale dei cereali vede emergere un potenziale elemento di disturbo significativo. Come riportato da AHDB, la Russia sta considerando l’introduzione di una quota alle esportazioni di cereali pari a 20 milioni di tonnellate per il periodo 15 febbraio – 30 giugno 2026, un livello quasi doppio rispetto alla quota dello scorso anno di circa 10,6 milioni, applicata solo a grano e miscela.
La misura, anticipata da un documento del Russian Grain Union, includerebbe questa volta anche mais e orzo: un allargamento che potrebbe esercitare pressioni sulle catene di approvvigionamento e sui flussi commerciali globali. Nel frattempo, sul mercato britannico, i futures sul grano da alimentazione (feed wheat) sono saliti per la quarta seduta consecutiva, con il contratto maggio 2026 che ha chiuso a 180,50 sterline a tonnellata, ai massimi da agosto. Anche sui mercati internazionali si registrano rialzi: a Chicago il grano è cresciuto dell’1,2%, toccando i livelli più alti da luglio, mentre a Parigi il contratto sul grano da macina è avanzato dello 0,5%.
L’apprezzamento del dollaro ha inoltre indebolito l’euro ai minimi da due mesi, favorendo la competitività del grano europeo sul mercato globale nonostante la concorrenza proveniente dal Mar Nero e dall’Argentina. Per gli operatori europei e italiani del comparto cerealicolo, la prospettiva di una quota di esportazione russa ampliata rappresenta un rischio da monitorare con attenzione. Se Mosca decidesse di limitare i volumi o introdurre condizioni più restrittive, potrebbe ridursi l’offerta disponibile sul mercato internazionale, spingendo verso l’alto i prezzi di grano, mais e orzo.
Un incremento dei prezzi, come quello già osservato, avrebbe ripercussioni dirette sui costi di approvvigionamento delle filiere agroalimentari, in particolare mangimistiche e industriali. Le imprese italiane dovranno valutare possibili tensioni nell’offerta dai paesi fornitori tradizionali e considerare strategie di diversificazione geografica. Parallelamente, la debolezza dell’euro comporta un vantaggio per le esportazioni europee ma anche un aumento dei costi di importazione per materie prime e input denominati in dollari, come fertilizzanti e trasporti.
La misura ipotizzata da Mosca, più ampia rispetto alla precedente, potrebbe generare nuove turbolenze sul mercato cerealicolo mondiale, aggiungendo un ulteriore “rischio di offerta” in un contesto già segnato da volatilità e incertezze geopolitiche. Per i buyer europei, e in particolare per quelli italiani, sarà fondamentale rivedere le coperture contrattuali, pianificare con prudenza i tempi di acquisto e monitorare attentamente l’evoluzione delle politiche commerciali russe nei prossimi mesi.



















